(354-387)
Agostino, di etnia berbera,[12] o punica come egli stesso ci tramanda,[13] ma di cultura fondamentalmente ellenistico-romana, nacque il 13 novembre del 354 d.C. a Tagaste(attualmente Souk Ahras, in Algeria, situata a circa 70 km a sud-est di Ippona, l'odierna Annaba), che era a quei tempi una piccola città libera della Numidia proconsolare, recentemente convertita al Donatismo.
Apparteneva a una famiglia del ceto medio, ma non facoltosa: il padre, Patrizio, piccolo possidente terriero e membro dei curiales(consiglieri municipali) della città, era un pagano; di animo benevolo, anche se collerico, impetuoso e a volte infedele alla moglie Monica, madre di Agostino,[14] proprio per influenza di quest'ultima alla lunga giungerà alla conversione, morendo cristiano verso il 371 d.C.[11]Monica era infatti di religione cristiana, una donna intelligente, affettuosa e di carattere forte.[11] Agostino ebbe anche un fratello, Navigio, che sarà a Cassiciaco in Brianza per battezzarsi, e una sorella di cui non si conosce il nome, ma della quale si sa che, rimasta vedova, diresse un monastero femminile fino alla morte.[11]
Infanzia e adolescenza
Agostino recepì dai suoi genitori due opposte visioni del mondo, da lui spesso vissute in conflitto tra loro. Sarà tuttavia la madre, venerata tutt'oggi come santa dalla Chiesa cattolica, a esercitare un grande ruolo nell'educazione e nella vita del figlio,[11] che dirà: «A lei debbo tutto ciò che sono».[15]Agostino nelle sue opere parla invece del padre come di un estraneo.[16] Agostino ricevette da lei un'istruzione cristiana e fu iscritto fra i catecumeni. Una volta, quando era molto malato, chiese il battesimo, ma, essendo presto svanito ogni pericolo, decise di differire il momento della ricezione del sacramento, adeguandosi ad una diffusa usanza di quel periodo. La sua associazione con "uomini di preghiera" lasciò tre grandi concetti profondamente incisi nella sua anima: l'esistenza di una Divina Provvidenza, l'esistenza di una vita futura con terribili punizioni e, soprattutto, Cristo il Salvatore.
Africano di nascita, utilizzò soprattutto il latino nei suoi scritti. Non ebbe molta dimestichezza con il greco, lingua studiata in giovane età ma non amata, mentre la conoscenza del punico è stata messa in discussione da taluni studiosi.[17] Patrizio, orgoglioso del successo del proprio figlio nelle scuole di Tagaste e Madaura, decise di mandarlo a Cartagine per prepararlo alla carriera forense, ma ci vollero molti mesi per raccogliere il denaro necessario, e Agostino passò il suo sedicesimo anno a Tagaste, in un ozio in cui si scatenò una grande crisi intellettuale e morale. Egli stesso avrebbe in seguito narrato come, dominato da una profonda inquietudine, venisse risucchiato in un vortice di passioni, e provasse quasi attrazione per il peccato, come avvenne per esempio in occasione del celebre furto delle pere, che Agostino organizzò insieme ad alcuni coetanei:
"Crisi" cartaginese
All'inizio della crisi pregava, ma senza il sincero desiderio di essere ascoltato, e quando all'età di diciassette anni giunse a Cartagine, verso la fine del 370, ogni situazione che gli capitava lo portava a deviare sempre di più dall'antico corso della sua vita: le molte seduzioni della grande città che era ancora per metà pagana, la licenziosità degli altri studenti, i teatri, l'ebbrezza del suo successo letterario e uno smisurato desiderio di essere sempre il primo, anche nel peccato.[19] In questa città, appassionandosi di filosofia, iniziò a studiare la maggior parte dei testi principali della cultura ellenistico-latina. Dotato di un forte senso critico e animato da un desiderio bramoso di verità, passò gli anni della sua gioventù nella ricerca insaziabile del senso della vita. Non molto tempo dopo essere giunto a Cartagine, però, Agostino fu costretto a confessare a sua madre Monica di avere una relazione con una donna, che gli aveva dato un figlio, Adeodato (372), e con la quale visse in concubinato per quindici anni. Si separarono nel 386, quando ella lo lasciò a Milano per recarsi in Numidia con la promessa che sarebbe tornata. Agostino non ne riporta il nome in alcun testo.
Esistono pareri contrastanti nella valutazione di questa crisi. Alcuni, come Theodor Mommsen, la evidenziano, altri come Friedrich Loofs rimproverano a Mommsen questa conclusione o si dimostrano clementi verso Agostino,[20] quando affermano che, a quei tempi, la Chiesa permetteva il concubinato.[21] Agostino mantenne comunque una certa dignità e, fin dall'età di diciannove anni, mostrò un genuino desiderio di uscire da quella condotta dissoluta: nel 373, la lettura dell'Hortensius di Marco Tullio Cicerone, oggi andato perduto, provocò un cambiamento di direzione nella sua vita. Si imbevve dell'amore per la saggezza che Cicerone così eloquentemente encomiava e, da quel momento, Agostino considerò la retorica soltanto una professione, da esercitare in qualità di insegnante. Il suo cuore si era completamente volto alla filosofia.[22]
Approdo al Manicheismo
Nel 373 la sua ansia per la ricerca dell'assoluto lo fece approdare al Manicheismo, di cui, insieme al suo amico Onorato, divenne uno dei massimi esponenti e divulgatori. Agostino stesso narra che fu attratto dalle promesse di una filosofia libera dai vincoli della fede; dalle vanterie dei manichei che affermavano di aver scoperto delle contraddizioni nelle Sacre Scritture; e, soprattutto, dalla speranza di trovare nella loro dottrina una spiegazione scientifica della natura e dei suoi fenomeni più misteriosi. La mente indagatrice di Agostino era entusiasta per le scienze naturali ed i Manichei dichiaravano che la natura non aveva segreti per Fausto di Milevi, il loro dottore.[23] Tuttavia, tale adesione non fu scevra da dubbi che l'attanagliavano: essendo torturato dal problema dell'origine del male, Agostino, nell'attesa di risolverlo, diede credito all'esistenza di un conflitto tra due principi. C'era, inoltre, un fascino molto potente nell'irresponsabilità morale che risultava da una dottrina che negava la libertà ed attribuiva la commissione di crimini ad un principio esterno. Una volta unitosi a questo gruppo, Agostino gli si dedicò con tutto l'ardore del suo carattere; ne lesse tutti i libri, adottò e difese tutte le sue idee. Il suo attivissimo proselitismo convinse anche i suoi amici Alipio e Romaniano, i suoi mecenati di Tagaste, gli amici di suo padre che stavano sostenendo le spese dei suoi studi.
Fu durante questo periodo manicheo che le facoltà letterarie di Agostino giunsero al loro pieno sviluppo, quando era ancora un semplice studente di Cartagine.
Insegnamento
Al termine dei suoi studi sarebbe dovuto entrare nel forum litigiosum, ma preferì la carriera letteraria. Possidio narra che tornò a Tagaste per "insegnare la grammatica". Il giovane professore incantò i suoi alunni, uno dei quali, Alipio, appena più giovane del suo maestro, per non lasciarlo dopo averlo seguito tra i Manichei, fu in seguito battezzato insieme a lui a Milano, per poi, probabilmente, diventare vescovo di Tagaste, la sua città natale.
Monica era profondamente dispiaciuta per l'eresia di Agostino e non l'avrebbe neanche ricevuto in casa o fatto sedere alla sua tavola, se non fosse stata consigliata da un vescovo che dichiarò che "il figlio di così tante lacrime e preghiere non poteva perire". Poco tempo dopo Agostino tornò a Cartagine, dove continuò ad insegnare retorica. I suoi talenti gli furono anche di maggiore vantaggio su questo palcoscenico più grande e, attraverso un'infaticabile ricerca delle arti liberali il suo intelletto raggiunse la piena maturità. Qui vinse un torneo di poesia ed il proconsoleVindiciano gli conferì pubblicamente la corona agonistica.
Fu in questo momento di ebbrezza letteraria, quando aveva appena completato il suo primo lavoro sull'estetica (ora perso) che Agostino cominciò a ripudiare il Manicheismo. Anche quando era nel suo massimo entusiasmo, tuttavia, gli insegnamenti di Mani erano stati lontani dal calmare la sua inquietudine. Nonostante fosse stato accusato di essere diventato un prete della "setta", non fu mai iniziato o enumerato fra gli "eletti", ma rimase un "uditore", il grado più basso nella gerarchia. Egli stesso fornì le ragioni del suo disincanto: prima di tutto l'inclinazione della filosofia manichea - "Distruggono tutto e non costruiscono nulla" -; poi la loro immoralità in contrasto con la loro apparente virtù; quindi la debolezza delle loro argomentazioni nella controversia con i "cattolici", ai cui precetti basati sulle Scritture la loro unica replica era: "Le Sacre Scritture sono state falsificate".
Ma la ragione principale fu che tra loro non trovò la scienza a cui anelava, ossia quella conoscenza della natura e delle sue leggi che gli avevano promesso. Quando li interrogava sui movimenti delle stelle, nessuno di loro era in grado di rispondergli. "Attendi Fausto", gli dicevano, "lui ti spiegherà tutto". Finalmente, nel 383, Fausto di Milevi, il celebre vescovo manicheo, giunse a Cartagine. Agostino gli fece visita e lo interrogò,[23] ma scoprì nelle sue risposte solo volgare retorica, assolutamente estranea a qualsiasi cultura astronomica e matematica.[24] L'incantesimo si ruppe e, anche se Agostino non abbandonò immediatamente il gruppo, la sua mente iniziò a rifiutare le dottrine manichee.
Incontro con Ambrogio
Nel 383 Agostino, all'età di 29 anni, cedette all'irresistibile attrazione che l'Italia aveva per lui; a causa della riluttanza della madre a separarsi da lui, dovette ricorrere a un sotterfugio e imbarcarsi con la copertura della notte. Non appena giunto a Roma, dove continuò a frequentare la comunità manichea, si ammalò gravemente. Quando guarì aprì una scuola di retorica ma, disgustato dai trucchi dei suoi alunni, che lo defraudavano spudoratamente delle loro tasse d'istruzione, fece domanda per un posto vacante come professore a Milano. Il praefectus urbi Quinto Aurelio Simmaco l'aiutò a ottenere il posto con l'intento di contrastare la fama del vescovo Ambrogio.[25] Dopo aver fatto visita al vescovo, però, si sentì attratto dai suoi discorsi e iniziò a seguire regolarmente le sue predicazioni.
Neoplatonismo e Cristianesimo
Agostino tuttavia fu travagliato da tre ulteriori anni di dubbi, durante i quali la sua mente passò attraverso varie fasi. In un primo tempo si volse verso la filosofia degli Accademici, attratto dal loro scetticismo pessimistico, deluso com'era dal manicheismo e diffidando ormai di ogni forma di credenza religiosa. Lo tormentava più di tutti il problema del male: se Dio esiste ed è onnipotente, perché non riesce ad annientarlo?
Ma fu poi decisivo l'incontro con la filosofia neo-platonica, dalla quale rimase entusiasmato. Aveva a mala pena letto le opere di Platone e di Plotino, quando gli si accese nuovamente la speranza di trovare la verità. Ancora una volta cominciò a sognare che lui ed i suoi amici potessero condurre una vita dedicata alla ricerca di essa, una vita priva di tutte le aspirazioni volgari come onori, ricchezza, o piacere, e con il celibato come regola.[27] Ma era solo un sogno; le sue passioni lo rendevano ancora schiavo.